:::Filippo Delmonte::: | Giornalista Sportivo
   
REDAZIONALI
 
 
15/10/2014
PARMA RACCOGLIE I COCCI TRA DESOLAZIONE E RABBIA

“Non succederà mai qui”. È il pensiero, la frase che ti balza in testa appena vedi qualcosa di sconvolgente alla tv; alluvioni, terremoti, omicidi, calamità naturali. Eh, non può succedere qui in Emilia; la terra promessa del vivere bene, delle grandi aziende che hanno fatto fortuna nel mondo, del mangiare bene e dove il maiale è il santo protettore, e sacrificato, della cucina.
Invece succede anche qui. La terra si è innervosita e ha buttato per aria le zone tra Reggio e Modena con tanto di samba ballata anche a Parma e in altre città. E adesso l’acqua ha messo in ginocchio quello che restava del Ducato di Maria Luigia. Negli anni la città bene è diventata come le provinciali. Ci hanno pensato i fenomeni di Parmalat, poi la crisi a riportarci sulla terra. Ieri l’acqua del Baganza a lavare via tutto, lasciando in terra il fango in senso fisico, dopo quello lasciato dalle precedenti amministrazioni.
Non è certo bello ritrovarsi a spalare via i detriti di un fiumiciattolo insignificante che in poco tempo è uscito dagli argini e ha inondato una buona parte di città. Ci voleva la cassa di espansione sul Baganza e ora la faremo, tuonano dal Comune. I fondi erano già stati predisposti anni fa. Bene, anzi benissimo. Tanto il giorno dopo si fa presto a cercare le cause del disastro. Peccato soltanto che la rabbia dell’acqua non abbia abbattuto la schifezza voluta dall’eroe Vignali, ovvero il ponte simil Ponte Vecchio, ma moderno e costato fior di quattrini, che doveva ospitare i negozi sulla Parma. Solo dopo averlo costruito si sono accorti che una legge vecchia come il mondo vieta, a eccezion di Firenze, che vi siano attività commerciali sui fiumi. Ma si chissenefrega, tanto serviva a ripagare qualcuno, con soldi pubblici, di alcuni favori o come indennizzo per la mancata, per fortuna, metropolitana.
Ebbene sì il Baganza è il grande protagonista di questo disastro. Un affluente della Parma, che la cassa d’espansione ce l’ha, ha messo ko diversi quartieri. La sua ira si è scatenata e ha invaso in pochi minuti diverse strade mandando tutto in tilt. Se qualcuno tirava fuori la tavola da surf avrebbe scorazzato alla grande in mezzo alle macchine che galleggiavano e agli scantinati e primi piani che si allagavano. Cosa si scrive per non piangere.

Ieri, intorno alle 18 tornavo a Parma con mio padre. Mi sono simpaticamente addormentato, ho riaperto gli occhi ed eravamo a 500 metri da casa. Belli bloccati in rotonda. Non si muoveva uno spillo. Avevano detto che c’era stato del caos nella zona di via Po. Così per non rimanere ore e non far rimanere mio padre ore in auto, mi sono incamminato verso casa. Sembrava tutto tranquillo, guardavo in giro mentre telefonavo, nulla. Per strada nessuno, se non in colonna in auto. Poi, magicamente, avvicinandomi verso la mia abitazione la strada diventava di color marrone e le persone in giro aumentavano. Dopo pochi metri mi son trovato nel fango. Ero per caso su una pista da cross? No. Ero sul marciapiede. Gente che spazzava, curiosi. La strada diventata un fiume con tanto di sabbie mobili a lato. Sono entrato in una dimensione parallela. La discesa verso i garage un mix tra una cascata e una piscina. Non volevo crederci. Ho attraversato la strada, rischiando di volare nelle sabbie mobili e cadere almeno una ventina di volte e mi sono infilato nel corridoio del condominio. Dentro quattro ragazzi che spazzavano l’acqua dall’appartamento a piano terra. Luce saltata e solo tanto fango e detriti. Sono salito in casa, non so perché, e poi sono sceso. C’erano persone che spalavano, a ritmo frenetico, il fango dal marciapiede e lo buttavano in strada. Nessun mezzo di soccorso. Soltanto disperazione. Ma quella disperazione che ti fa lavorare o osservare come una bambola di cera quello che accade attorno a te. Nessuno ha perduto la casa, nella mia zona, ma altre cose si. La mia moto è sott’acqua così come altri beni meno preziosi, ma importanti per me. Alla fine ti senti inerme, non t’incazzi nemmeno. Parlavo tranquillamente con i vicini di casa sul portone, mentre sotto i nostri piedi passavano le rapide della Dora Baltea. Avrei voluto spalare via un po’ di fango, ma con cosa? Non c’era nulla. Le pale in cantina, quindi a bagno, e il mio prezioso pezzo di plastica, per la raccolta differenziata, sparito dopo che era rimasto lì da venerdì. Quindi ieri ha pensato di allontanarsi da un padrone così sbadato che lo ha lasciato alle intemperie per tre giorni. E nel frattempo si sentivano i badili che grattavano terra. Persone che non sapevano cosa dire e fare. Nessuno urlava, non si sentiva una mosca volare. Di solito invece ti salutano le ambulanze, che per evitare il traffico in rotonda accendono le sirene per spegnerle poco dopo, il traffico. Ieri e oggi nulla. Strada da far west. Nessuno in giro, mancavano solo il bello, il brutto e il cattivo. Le macchine parcheggiate, un po’ sporche ma sane. Peggio sarà quando apriremo i garage e le cantine. Lì i danni si conteranno sia in termini economici sia affettivi. La luce ancora non c’è, il fango si, anche se in tono minore.
Subito dopo il disastro dunque non ti prende la disperazione, ma un senso di vuoto. Quasi come se avessi preso due pugni da Tyson che ti rincoglioniscono e voli nel tuo mondo. Un mondo innaturale. Il mattino dopo quando ti svegli e apri la finestra, vedi il marasma sotto di te invece arriva il nervoso, l’ansia per un dramma che non può succedere. Siamo nel 2014. Dovremmo tutti viaggiare come Martin McFly E Doc al volante della sua DeLorean. Invece siamo qui in mezzo alla melma e alle idrovore che pompano via acqua dalla mattina e a notte inoltrata non hanno ancora asciugato tutto. Questo perché siamo amministrati da inetti che mangiano soldi e non fanno manutenzione. Nei tempi passati i canali venivano puliti, i fiumi anche. Ora invece tagliano l’erba e la lasciano dentro i fossi, nei fiumi ci son più alberi che nei boschi di Carega. Aggiungiamo i container dove i contadini che hanno gli orti in riva al torrente mettono gli attrezzi, letti più bassi dei corsi d’acqua, e la frittata è fatta. L’acqua ha forza e se non passa scavalca. E così miei pensieri che ogni tanto mi vengono sulle catastrofi si avverano. “Se dovesse uscire la Parma non arriverebbe fin qui”. Sbagliato! Primo perché ci è arrivato il Baganza che sarà a 700 metri e la Parma è ancor più vicina, secondo perché se non rispettiamo l’ambiente questo ce la fa pagare. Come ha fatto. Così monta la rabbia, la frustrazione e la disperazione. Il sonno non arriva e come musica di sottofondo il rumore delle idrovore che tolgono l’acqua ma lasciano detriti e macerie innumerevoli.
Intanto in Comune coordinano, cosa non si sa, e parlano con il ministro dell’Ambiente che dice:” stop alle parole, ora fatti”. Sì fatti e non pugnette. Peccato che sia il contrario in Italia.
E noi che siamo stati colpiti ci arrangiamo, ci incazziamo, ma forse riscopriamo certi valori, come quello della solidarietà e delle torce e candele per illuminare casa, mentre stiamo cercando di capire cosa sia veramente successo. Genova non è più la città simbolo dell’alluvione: lo siamo anche noi. Bel primato. Grazie al ministro dell’ambiente, ai verdi che devono fare le oasi per gli uccelli, per le nutrie sbattendosene della vera salvaguardia dell’ambiente. Suggerirei di mettere nei fiumi anche orsi, coccodrilli ed elefanti. Così almeno, fin che dura, abbiamo uno zoo a cielo aperto, perché a vedere Baganza e Parma in piena e colmi di tronchi il Canada con i suoi corsi d’acqua che portano alle segherie, lo abbiamo già avuto. Abbiamo risparmiato i soldi dell’aereo grazie all’inefficienza italica. Però ancora una volta ci rialzeremo. Eh si. Siamo l’Emilia la terra delle grandi eccellenze con gente che lavora e ha inventiva senza tralasciare i piaceri della vita. Anche per questo forse siamo stati ancora messi alla prova e non beccheremo un biadino. Speriamo che fatti e non pugnette si svegli e inizi a capire che i corsi d’acqua non sono parchi, che i fiumi si scavano prima dove passa l’acqua e poi nel letto e quest’ultimo deve essere più alto, e soprattutto che non possono succedere fatti del genere con ormai regolare frequenza. In Italia l’esperienza non aiuta, serve solo a sputtanare soldi pubblici. Ci sveglieremo dal letargo? Speriamo! Intanto qui viviamo un bell’incubo.

 
TORNA ALL'ELENCO REDAZIONALI
Sito realizzato da New Works Webtech